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RECENSIONE: Il monastero (Zachar Prilepin)

Il Monastero - Zachar Prilepin - Voland
RECENSIONE: Il monastero (Zachar Prilepin)

Il monastero

Valutazione:
four-half-stars
Autore:
Traduttore:
Pubblicato da:
Data uscita:
23/05/2017

Pagine:
811
Genere:
ISBN:
9788862431903
ASIN:
B0779DDGD6
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La trama

Anni '20 del secolo scorso. Artëm Gorjainov sconta una pena di tre anni alle isole Solovki, dove sorge un antico monastero adibito a prigione dura per reati politici e comuni. Fra ?ekisti e anti?ekisti, ladri e assassini, rivoluzionari e controrivoluzionari, il giovane tenta di sopravvivere in un mondo che ha adottato regole e leggi proprie, ma le condizioni di vita quasi insopportabili, la fame, il lavoro massacrante, i soprusi e la brutalità non sembrano piegarne l'indole integra. Sullo sfondo di una natura superba e violenta si dipana un appassionante romanzo storico, corale, ricco di personaggi e colpi di scena. Fra disumanità e ingiustizia, rivalità, amicizie, impossibili amori, il lettore si trova coinvolto in mille storie. Perché, come dice l'autore, "le Solovki sono il riflesso della Russia".

 – Indimenticabile – 

L’acqua gelata, i tronchi pesanti da spostare, le cimici che divorano e pizzicano la pelle. Le briciole di pane che diventano poltiglia all’interno delle tasche, la notte passata letteralmente accatastati l’uno sull’altro per non morire di freddo… l’attesa del pacco, le botte, il dolore, la morte. Stiamo vivendo un incubo? No, siamo alle Isole Solovki, uno dei primi luoghi di reclusione ideato dai sovietici.

Il monastero di Zachar Prilepin (Voland) è il lungo (ma vi assicuro che sembrerà brevissimo) racconto della vita in un gulag quando non era ancora un gulag. Una sorta di capitolo precedente, una specie di sguardo sul sistema penitenziario sovietico, prima che nascessero i campi di lavoro così come ci sono stati raccontati. 

Ho aspettato tanto prima di scrivere questa recensione, le parole non sono uscite subito come avrei voluto. Non so se sono riuscita a rendere la bellezza di queste pagine, così, provo a restituirvi sensazioni ed impressioni. Sperando di convincervi a buttarvi in una storia lunga, impegnativa e… indimenticabile.  Ho amato Il monastero, all’inizio ho fatto fatica con lo stile di Prilepin così incalzante, scattante, duro. Non ero abituata ai paragrafi corti, ai colpi di scena, ai ritorni, ai dialoghi scarni, i monologhi interiori simili a descrizioni… a questo personaggio così strambo che alterna momenti di sfacciata lucidità ad altri di oblio misterioso, intontimento generale… forse addirittura apatia.

Inutile dire che quando Voland mi ha mandato il libro ero la persona più felice sulla faccia della terra. Ma, mi aspettavo un romanzo corale con la stessa, o comunque simile, costruzione de Nel primo cerchio del mio amato S., ma così non è stato. I due romanzi non si possono paragonare né per stile né per impianto.

Prima ancora di addentrarmi nella storia che vi stupirà e vi conquisterà, già lo so, volevo consigliarvi di leggere il saggio finale della traduttrice Nicoletta Marcialis, prima ancora di leggere il libro. E’ lei a chiarirci in quale avventura ci stiamo buttando,  a fornirci strumenti e riferimenti che non saremmo (forse) in grado di cogliere. E’ sempre lei a riportarci le parole di Prilepin su Il monastero.

Quando ho cominciato a scrivere Il monastero pensavo di scrivere un racconto, o al massimo un romanzo breve. Poi però ho iniziato a documentarmi, e ho scoperto una quantità straordinaria di storie incredibili, in cui čekisti e antičekisti, rivoluzionari e controrivoluzionari, russi, ortodossi, musulmani, caucasici, polacchi, chi volete voi, entrano nelle più complicate e varie forme di interrelazione. Tutto ciò mi ha dato alimento. Ed ecco i risultati […] Questo non è un libro sul GULAG. Il GULAG nasce dopo le Solovki. Ciò che hanno descritto Solženicyn e Šalamov non sono le Solovki. Nel mio romanzo c’è la storia della prima fase del sistema penitenziario sovietico. C’era una qualche verità-non verità, c’era l’idea di forgiare l’uomo nuovo. È fallita. Hanno perso. Hanno prodotto solo una poltiglia sanguinolenta. Ma per me era importante capire dove fosse l’inizio, come tutto ciò succeda – un passo dopo l’altro, piena di illusioni, la gente marcia verso l’inferno. È questo che trovo interessante.”

Sono gli anni Venti e noi ci troviamo alle Solovki in compagnia di tre personaggi principali: Artëm, sarà lui a regalarci la prospettiva principale di tutte le storie de Il monastero, e poi Fedor Ejchmanis e Ioann. Che però, non saranno mai da soli.

Vogliamo subito bene ad Artëm perché i suoi pensieri ad alta voce, il suo modo di fare, la sua ingenuità sono il colore nel grigio delle isole.  Sappiamo che si trova lì perché ha ucciso il padre, sappiamo che viene preso in giro, bullizzato, deriso, picchiato. Artëm è il protagonista a cui capita di tutto: è sempre sul punto di morire ma non muore mai. Trova sempre una situazione – all’apparenza favorevole – che gli permette di uscire in piedi. Ma non è solo la casualità a salvarlo è anche quella sorta di spensieratezza,  apparente superficialità. Artëm non sogna in grande, non ci mette su il cuore. E’ indipendente, curioso, senza cattiveria.

Intellettuale opposto e complementare Vasilij Petrovic  ci apre più di una volta gli occhi, è il personaggio che, secondo Marcialis, Prilepin vorrebbe essere.

Lei, Artëm, per qualche miracolo ha evitato i lavori comuni, da molte settimane si occupa sa il diavolo  di che, e ha smesso di capire cose molto semplici. Devo ricordargliele? Pensa che se non la mandano più ai tronchi, significa che nessuno li tira più a sé? Pensa che se a lei sta andando bene anche tutti gli altri stanno meglio? Qui la gente mu- o -re! Ogni giorno c’è qualcuno che muore! Questa è la realtà delle Solovki. Non è una tragedia, non dramma, niente Sofocle, niente Euripide. La realtà della vita.

E le immagini cominciano a scorrere sotto i nostri occhi, ci troviamo all’inferno anche se non è quello raccontato da Solženicyn o da Šalamov. Certo, c’è sempre il ghiaccio,  la crudeltà e le  carte da gioco fabbricate con quello che si può,  la fame, il dolore ma troviamo un’altra cosa. La possibilità di vedere lo stato di cose della Russia: Il Monastero è una lente di ingrandimento. Non viviamo la storia dal punto di vista del prigioniero e basta, ma anche con gli occhi dei cosiddetti “carnefici”, che forse sono vittime a loro volta.  Convinti che il loro sistema sia realmente diverso dal precedente:

-Questa non è una prigione – rispose deciso Artëm. – Qui si sta creando una fabbrica di uomini. Allora infilavano gli uomini nelle fosse e li tenevano, come vermi, sottoterra, finché non crepavano. Qui invece si dà la possibilità di scegliere: o diventi una persona, oppure… (…)

-Penso che qui abbiate uno stato nello stato – disse Artëm.- Le vostre proprietà, il vostro cremlino. I vostri palazzi, i vostri monaci. Il vostro giornale, la vostra rivista. La vostra industria. I vostri parrucchieri e le vostre etére. I vostri boia – qui la guancia di Gorskov fremette, spostò lo sguardo su Ejchmanis che, però non sembrava reagire. Artëm continuò: – I vostri teatri, gli impiegati e, infine, i detenuti… Quando entrano qui, l’ho sentito io, ai detenuti urlano: ‘Qui il potere non è sovietico, è Solovietico’. Ed è la verità. Qui la religione è la stessa, è quella sovietica, ma i sacrifici rituali sono i vostri. E sulla base di ciò voi formate l’uomo nuovo.
Questa è civilizzazione!

Il Monastero - Zachar Prilepin - VolandCome a teatro, accanto al nostro protagonista si affacciano altri personaggi e soprattutto altre storie. Ci sono rivoluzionari, controrivoluzionari, cekisti, religiosi. Monaci che vivono come i prigionieri, criminali di ogni tipo. E le loro vicende, le parole si fondono per raccontare un’unica storia dalle mille sfaccettature.

E poi c’è l’amore. E’ possibile che nasca una relazione tra un prigioniero e una funzionaria? Galja, che all’inizio mi sembra assolutamente un personaggio secondario, è a suo modo disperata. Pensa al padre e… chissà forse l’hanno già ucciso, e ci riflette con un distacco… che mi ha fatto impressione. Indottrinata, innamorata di chi la ferisce è una prigioniera che subisce un altro tipo di violenza.  Forse a distinguerla da Artëm è soltanto la divisa.

Di Galja a un certo punto amo l’amarezza che prova. Senza anticipare nulla, a un certo punto, dopo ore ed ore di calvario (in mare si perde anche la cognizione del tempo) la funzionaria si sveglia e in mano le rimane un pugno di sabbia che scivola via.

E ancora potrei andare avanti per ore. Non vi ho parlato di tutti, non potrei. Scoprirete i personaggi, amerete le  ambientazioni meravigliose e feroci, la natura è anche questo, e inevitabilmente vi innamorerete di Prilepin (e della traduzione di Marcialis).

Lo abbiamo già detto, le persone che si affacciano sulla scena sono tutte diverse tra loro ma sono fondamentali per calarsi in un’atmosfera difficilissima da immaginare, tra crudeltà e stenti.  E forse uno dei punti cruciali del libro  è proprio il punto di vista. Prilepin si è documentato prima di avventurarsi nella stesura del romanzo, immagino lo slalom tra documenti e resoconti, testimonianze private, interviste, racconti di famiglia, e ci restituisce una versione che non può essere definitiva.

Ora mi chiedo: se avessi guardato all’accaduto dall’interno di un’altra testa – con gli occhi di Ejchmanis, di Galina, di Burcev, di Mezernickij, di Afanes’ev – avrei visto un’altra storia? Un’altra vita?

O sarebbe stata la stessa?

L’individuo, il dissenso, persino le parole, vanno sostituite , cancellate, sommerse.  Tutto quello che non è in linea con il pensiero della Russia, non esiste. L’uomo nuovo va forgiato e la crudeltà comincia nella testa prima ancora di accanirsi sul fisico. Prilepin ci regala la pluralità durante la sua cancellazione.

Il monastero è…

Indimenticabile. Ho avuto tanti dubbi sulla recensione, ma nessuno sulla parola descrittiva. Non dimenticherò mai la scena in cui i detenuti strappano i mutandoni dei loro compagni morti per ripararsi dal freddo, non dimenticherò mai la tempesta in alto mare, le notti trascorse con i prigionieri ammassati l’uno sull’altro. L’unico modo per scaldarsi. Non dimenticherò il suono del silenzio, il rumore degli stivali, la gonna stretta di Galja, Artëm che torna alla vita masturbandosi.  E ancora ricorderò il sapore delle bacche, l’odore della paura, i cadaveri mangiati dagli avvoltoi. Come si fa a raccontare un libro così? Il monastero può soltanto essere vissuto.

Il ritmo è incalzante, alla fine di ogni paragrafo senti la necessità di andare avanti. Devi sapere cosa succederà. Alla fine del romanzo Prilepin ci racconta come è proseguita la vita di queste persone, realmente esistite. Ci racconta dell’incontro con la figlia di E e noi non possiamo fare a meno di chiederci se Prilepin ha davvero detto tutto su questo capitolo di storia. Quando ho finito Il Monastero non avevo voglia di cominciare nient’altro: nessun libro mi sembrava all’altezza di questo. Ci sono tantissimi aspetti che non ho toccato: i temi storici, sociologici, le vite degli altri personaggi… ma credo che questo sia il tipo di storia da vivere senza prepararsi troppo.

Non è un libro (soltanto) per gli amanti della Russia,  è un grande racconto di avventura dal sapore distopico, un romanzo storico che mostra punti di vista inediti. Fidatevi di me: sarà un viaggio faticoso ma bellissimo.

 

 

 

four-half-stars

Alcune note su Zachar Prilepin

Zachar Prilepin. Romanziere tra i più noti del suo paese, ha vinto numerosi e importanti riconoscimenti letterari, fra cui il Nacional’nyj Bestseller nel 2008 e il Super Nacional’nyj Bestseller nel 2011. Amato e odiato, soprattutto per le sue posizioni politiche, affronta nel monumentale, vendutissimo e pluripremiato Il monastero un tema spinoso e attuale, quello del rapporto di un paese con la propria storia. Il romanzo ha ottenuto nel 2014 i premi Kniga Goda (Libro dell’anno) e Bol’šaja Kniga (Grande libro), nel 2016 il premio Ivo Andrič e il premio del Governo Federale russo per la cultura.

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1 COMMENTO

  • Daniela Di Sora

    Grazie, lettrice controcorrente. Questo è un romanzo che amo molto, di un autore che secondo me dovrebbe essere più conosciuto. In Francia lo pubblica Actes Sud, con grande successo. E sono felice che ti abbia appassionato.

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