Tu uccidi: Come ci raccontiamo il crimine
La trama
L’omicidio è un elemento sempre presente nella storia umana. Ma perché si uccide oggi, nella nostra società? E in che modo la nostra società percepisce e racconta il crimine? In un percorso che passa in rassegna i molteplici aspetti dell’omicidio e del suo racconto, un autore e un'autrice del genere crime (che insieme hanno dato vita al personaggio del vicequestore Nigra) cercano di interrogarsi sul modo in cui viene interpretato l’omicidio nella nostra società, in che modo la distanza tra realtà e finzione agisce sull’immaginario collettivo e come questo viene di conseguenza strumentalizzato dalla comunicazione politica. Si vedrà in che forme l’interpretazione del crimine influenzi la cultura sociale e l’idea stessa di ‘bene’ e ‘male’, l’idea di colpa e di punizione, nonché quella di sicurezza e prevenzione. Il delitto, insomma, è uno strumento perfetto per indagare la società italiana contemporanea.
– Verità –
Tu uccidi: come ci raccontiamo il crimine di Antonio Paolacci e Paola Ronco (effequ) è un saggio interessantissimo. Ci ho messo un po’ a leggerlo perché volevo lasciar sedimentare le parole degli autori, volevo riflettere anche se il coinvolgimento era tale che l’avrei divorato. Non ho voluto “sprecare” questa occasione perché, come ormai sapete, sono una giornalista e temo che volente o nolente abbia anche io delle responsabilità quando si parla di narrazioni di cronaca nera. Ho preso questo libro un po’ come una sfida e soprattutto come un’occasione di crescita.
Tu uccidi non è il racconto morboso di casi “true crime”, non è questo il punto. Assomiglia molto di più a “Indagini”, il podcast di Stefano Nazzi che ripercorre le modalità delle indagini, la narrazione dei media e così via. La morbosità non abita in questo saggio come non si trova in quel podcast e già questo mi aveva conquistato.
Siamo davvero consapevoli di quanto la stampa ci influenzi nella narrazione dei crimini? No. Almeno, non così tanto. Non ci rendiamo nemmeno conto di quanto la letteratura ci influenzi. Trattiamo i casi di cronaca nera come se si trattasse di romanzi. L’unica cosa che conta è trovare il colpevole e il motivo che l’ha spinto a compiere un crimine. E proprio questo modo di procedere ci conduce spesso alla conclusione: “Motivi inspiegabili”. Perché la verità è che la realtà è molto più complessa della finzione, so che vi sembra una banalità ma non lo è. Abituati a procedere come se ci trovassimo davanti a una storia inventata, non siamo in grado di cogliere le sfumature di vittime e carnefici e questo saggio, senza pedanteria, ci mette di fronte a una realtà imbarazzante. Riduciamo la complessità dei casi di nera a: “dobbiamo trovare il colpevole”, “la povera vittima (sempre chiamata per nome)” e “l’assassino salutava sempre”. Come se davvero le persone si potessero dividere tra buoni e cattivi e si potesse ristabilire l’ordine del mondo semplicemente individuando l’assassino.
Sta di fatto che, quando delle persone finiscono in galera, siamo al finale di stagione. Così almeno la racconta l’informazione, così la vede l’opinione pubblica: con l’assassino o l’assassina in galera, il mondo torna ‘normale’, un posto tranquillo, senza mostri a piede libero; continuare a parlarne sembrerebbe un sequel noioso e ripetitivo.
E Avetrana è tornato finalmente un posto tranquillo. L’Italia intera, che ha partecipato all’indagine sulla morte di una ragazza morta e presentata quasi come una Laura Palmer nostrana, è tornata a essere un posto senza mostri.
Un posto senza mostri, già; solo, pieno di gente capace di trascorrere i giorni, le settimane, i mesi e perfino gli anni a speculare, senza alcun guizzo di coscienza, sul corpo di una quindicenne uccisa e gettata in un pozzo, da non si sa più quante persone, tutte rigorosamente incensurate.
Sulla narrazione dei crimini ovviamente incide anche la politica. Sono numerosi gli esempi riportati del libro, tutti esempi familiari, realtà che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, ma forse ci manca lo spirito critico per vederle.
Per definizione, il fanatismo funziona così: si basa su una progressiva semplificazione del linguaggio, ovvero sull’appiattimento verso il grado zero della comprensibilità. Di fronte all’esistenza di chi compie un atto criminale, questo grado zero coincide con l’idea che l’unico modo giusto di reagire sia l’annientamento della singola persona cattiva, anche se questo non ci preserva dal pericolo, né tantomeno ci permette di comprenderlo. Si applica un criterio infantile, da cortile delle scuole elementari: dare una lezione a chi ci fa un torto.
In Tu uccidi vengono citati numerosi casi di cronaca, tutti conosciuti. Dal plastico di Bruno Vespa per il delitto di Cogne, passando per la terribile storia del G8 (che da genovese mi sta molto a cuore).
Difficile riassumere tutto il saggio con una recensione. Non ho nemmeno le competenze per farlo ed è anche il primo che leggo questo argomento, quindi non ho molti termini di paragone. Ma ci sono cose che posso giudicare, come la chiarezza delle spiegazioni, il ritmo coinvolgente, la chiarezza. Questo saggio è un libro che dovrebbero leggere tutti. Perché in questa realtà siamo immersi e non sempre ci rendiamo conto di quando i meccanismi si inceppano o prima ancora di come funzionino.
Mi è piaciuto il tatto usato nel raccontare le storie (lo stesso appunto di Indagini o di Blu Notte), non si indugia su particolari scabrosi, non ci sono fazioni da scegliere, né toni urlati. Si vede il lavoro svolto dietro a questo saggio, si percepisce la cura messa nello scegliere parole ed esempi. Sono contenta che effequ me l’abbia mandato a sorpresa perché il tema mi interessa tantissimo ma non potevo immaginare che sarebbe stato così interessante.
In Tu uccidi non si trovano molte risposte, non è questo lo scopo del libro, ma ci sono le domande. Quelle che abbiamo dimenticato di porci quando assorbiamo informazioni, quando ripetiamo luoghi comuni, quando siamo immersi nella realtà.
Tu uccidi è…
Una verità che ci inchioda. Che effetto fa scoprire che lo spietato killer non è il cattivo de La signora in giallo ma potrebbe essere il nostro vicino di casa oppure noi stessi? L’effetto è straniante. Paolacci e Ronco con i fatti alla mano ci inchiodano e costringono a ripensare a molti episodi conosciuti.
La narrazione è una forma di conoscenza sempre, anche quando intrattiene, anche quando inventa mondi e creature fantastiche. Per cui, come tutte le cose che possono fare un gran bene, può anche essere pericolosa. La risposta alla domanda sui danni che può fare è di conseguenza semplice: dipende. Dipende da come scriviamo.
Tu uccidi ci rende consapevoli e scusate se è poco.
Consigliato per tutti gli appassionati di true crime, io un po’ mi sono vergognata per aver ascoltato o cercato tante trasmissioni che invece i dettagli morbosi li ostenta, e per chi semplicemente vuole capire di più che cosa c’è dietro a questo tipo di narrazioni. Un saggio che si legge come un romanzo e che ci fa aprire gli occhi e no, non mi pare poco.
1 COMMENTO
Fra
1 anno faUn libro molto interessante, diverso dagli altri che trattano i fatti di cronaca nera.
Un saluto