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RECENSIONE: Tempo di uccidere (Ennio Flaiano)

Tempo di uccidere - Ennio Flaiano - Bur contemporanea
RECENSIONE: Tempo di uccidere (Ennio Flaiano)

Tempo di uccidere

Valutazione:
four-stars
Autore:
Pubblicato da:
Data uscita:
23/11/2017

Pagine:
320
Genere:
ISBN:
9788858691748
ASIN:
B077JLKVG9
Acquista:

La trama

In un'Africa surreale e priva di ogni esotismo un tenente dell'esercito italiano vaga alla ricerca di un medico, guidato dal mal di denti. Si allontana dal campo, rimane solo, si perde. Hanno inizio così, per caso, le sue disavventure. Prima si convince di aver contratto la lebbra, poi fugge, certo di essere ricercato per tentato omicidio, infine si trasforma in ladro e maldestro attentatore, fino ad approdare alla capanna di Johannes, un luogo misterioso e arcano dove può iniziare a guarire. Nato da una conversazione con Leo Longanesi e vincitore del premio Strega nel 1947, Tempo di uccidere, unico romanzo scritto da Flaiano, è un'intensa allegoria della guerra, messa a nudo con ironica, spietata crudeltà.

– Chi siamo –

Tempo di uccidere di Ennio Flaiano (Bur) è un libro su cui ho riflettuto molto. Dopo averlo finito ho preferito far passare qualche giorno prima di scrivere la recensione, perché avevo bisogno di metabolizzare  quello che ho letto.  Questo è l’unico romanzo di Flaiano ed stato è il vincitore della prima edizione dello Strega.   Scorrendo le pagine non è difficile capire il perché. Questo è un testo che resiste al tempo e ci mette di fronte ad interrogativi sempre attuali, forse oggi più che mai.

La storia è ambientata in Africa durante la guerra d’Etiopia  (anni Trenta). Il nostro protagonista è un tenente che non assomiglia per nulla a un eroe. Il libro si apre con lui che abbandona un compagno a seguito del ribaltamento di un camion.  Il mal di denti gli dà il tormento e invece che aspettare i soccorsi preferisce incamminarsi nel bosco, il luogo dove avverrà un incontro che gli cambierà letteralmente la vita.

Un’indigena si sta lavando nel fiume: è giovane, bella e forse un po’ annoiata. I gesti che si ripetono  danno conforto al tenente  che prova ad avvicinarsi, vuole possederla e può farlo. La razza bianca è superiore e poco importa se la ragazza all’inizio prova a resistere, può cedere e deve farlo. Eppure tra i due scatta veramente qualcosa, un’affinità per cui non servono le parole e per un po’ il tenente potrà dimenticare che a casa ha una Lei che lo aspetta, in guerra tutto (o quasi) è concesso. I due trascorrono la notte insieme ma purtroppo un rumore nel buio spaventa il nostro protagonista che spara e colpisce per sbaglio la sua temporanea compagna. La ferita è profonda e con tutta probabilità la donna non potrà sopravvivere. E’ qui che inizia realmente il nostro viaggio. Un percorso fatto di senso di colpa, egoismo, sofferenza e senso di solitudine.

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I vicoli ciechi del pensiero lo costringono all’immobilità e i giorni cominciano a passare inesorabilmente e proprio quando sembra convincersi che ucciderla è stata la decisione migliore ecco che un altro incontro rigetta il tenente nel panico.

Belle, sorridenti e un po’ malinconiche con i loro fazzoletti bianchi addosso. Così alcune ragazze salutano i militari che le adocchiano. Ma no, non possono andare a casa con loro perché hanno la lebbra e la prova, prima ancora delle piaghe sulla pelle, è quel lembo di stoffa bianco che indossano.

Lo stesso turbante che aveva Mariam quella notte, il simbolo dei malati di lebbra. Una folgorazione, la ferita sulla mano che non guarisce, le macchie che sembrano moltiplicarsi sulla pancia… Quella donna l’ha contagiato?

Da questo interrogativo ne scaturiscono altri. Cosa deve fare? Denunciarsi, fuggire o crogiolarsi nell’indecisione?

Il protagonista accarezza l’idea di togliersi la vita. Sembra quella l’unica via, il germe del contagio sta prendendo posto dentro di lui e per fermarlo non basterebbero le cure. Ma poi  che ne sarà di Lei, di sua moglie che lo aspetta in Italia… si può rinunciare all’amore? Al ritorno a casa?

Mi chiedevo  se era quella la rassegnazione, quel vuoto aspettare, contando i giorni come i grani di un rosario, sapendo che non ci appartengono, ma sono giorni che pure dobbiamo vivere perché ci sembrano preferibili al nulla.

Qui il romanzo sembra cambiare il passo. La fuga, l’incontro/scontro con il medico, la voglia di uccidere e le misteriose domande al personaggio solitario che vive in un paese in cui il suo unico compito è quello di sotterrare i morti. Cosa rappresenta Johannes? Il vecchio con cui non riuscirà mai ad avere una conversazione.  Custode di una cultura, di un modo di vivere così lontano da quello europeo.

Il tenente trascorre le notti in una capanna in compagnia della morte e avvolto dall’incomunicabilità con l’altro e con se stesso, fino all’incredibile scoperta. Di fronte all’emergenza, al limite, scopre chi è veramente e ci fa porre l’inevitabile domanda: Chi siamo noi?

(…)”non possono fucilarmi, non possono uccidermi, debbo vivere”. Poi dicevo: e allora perché la commedia del suicidio, perché pensi ancora al suicidio? Voglio cadere a pezzi, rispondevo,ma vivere sino all’ultimo momento. Non posso lasciare il cielo, anche se è un cielo di piombo come questi, non posso lasciare nulla, nemmeno questo cespuglio, nemmeno i giorni più mediocri e le notti più cupe, o le persone che odio: nulla.

Tempo di uccidere è…

Mi sono interrogata a lungo alla fine di questa lettura e credo che l’intento di Flaiano fosse anche questo: farci interrogare.  Quanto vale la vita umana? Quale valore diamo a quella del protagonista? E’ un codardo, egoista, non è in grado di prendere una decisione e subisce la vita come gli ignavi di Dante. Ma soprattutto quale valore diamo alla nostra?

Il tenente alla fine fa ritorno a casa ma nessun dubbio nella testa è stato sciolto. I fatti sono che Mariam è stata uccisa da lui e che la lebbra può manifestarsi anche decenni dopo il contagio.

Forse non si tratta più di lebbra, si tratta di un male più sottile e invincibile ancora, quello che ci procuriamo quando l’esperienza ci porta cioè a scoprire quello che noi siamo veramente.

Ad un certo punto ho pensato che la malattia del tenente potesse diventare l’occasione per cambiare, il mezzo per prendere una decisione, dare una svolta alla propria vita anche se avesse voluto dire dirle addio. Eppure non è successo, il tenente è rimasto lo stesso vigliacco dell’inizio del libro. Ma le domande per me non sono finite qui: “Posso giudicare quest’uomo?”.

four-stars

Alcune note su Ennio Flaiano

Ennio Flaiano

Fu giornalista, critico teatrale e cinematografico (per il Mondo di Pannunzio, il Corriere della Sera, l’Europeo, L’Espresso, ecc.), oltre che sceneggiatore di alcuni fra i più importanti film del dopoguerra; fra l’altro collaborò con Federico Fellini a I vitelloni, La dolce vita, Otto e mezzo.
Moralista acre e tragico, scrisse opere narrative e prose varie percorse da un’originale vena satirica e da un vivo senso del grottesco, attraverso i quali vengono colti gli aspetti più paradossali della realtà contemporanea: Tempo di uccidere (1947, premio Strega), Una e una notte (1959), Il gioco e il massacro (1970), Le ombre bianche (1972), Autobiografia del blu di Prussia (postumo, 1974), Diario degli errori (postumo, 1977).
Toni analoghi hanno i suoi testi teatrali: La guerra spiegata ai poveri (1946), La donna nell’armadio (1958), Un marziano a Roma e altre farse (1971).Alla sua memoria, nel 1974, è stato dedicato il Premio Flaiano , certamente il concorso più importante per soggettisti e sceneggiatori del cinema. La manifestazione si svolge ogni anno nella sua città natale, Pescara, dove è stato eretto in suo onore un monumento

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5 COMMENTI

  • Gualtiero Todini

    Ho superato la metà, ma con fatica. L’azione è troppo lenta: l’indecisione iniziale del tenente prosegue ostinata, nota predominante (o forse unica) della sua esistenza. A tratti la grama esistenza della popolazione indigena muove la pagina. Non so se proseguirò la lettura, in quest’estate di sfracelli politici, come la defenestrazione del governo Draghi.

  • FRANK

    Le recensioni sono armi a doppio: se le scrivi in maniera semplice ti criticano perché da un intellettuale si aspettano qualcosa di più, se invece sono più dense e svisceranti ti dicono subito che te la tiri. Mi piacerebbe conoscere il vostro pensiero sui miei sette libri già scritti e pubblicati (i primi 5 di racconti e gli ultimi 2 romanzi) e metterli a confronto. A questo mondo non si incontrano mai due pareri uguali. Così va la vita, ciao

  • Carmine

    posso dirvi questo: il genere umano non e’ in grado di giudicare ma puo’ amare per giunta iniziamo ad amare per cambiare il mondo

  • kanenas

    Con totale benevolenza: da una divoratrice di libri mi aspettavo una critica un poco più densa e sviscerante, ma soprattutto un italiano meno elementare e colloquiale ed almeno rispettoso della consecutio temporum.
    Buone future letture!

    • E io con totale benevolenza rispondo: il mio italiano è volutamente colloquiale, l’intero blog lo è. Sul resto… mi dispiace averLa delusa, queste sono state le mie impressioni di un anno fa, come potrei rinnegarle? Buone letture!

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