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RECENSIONE: Donne che parlano (Miriam Toews)

Donne che parlano - Miriam Toews - Marcos Y Marcos
RECENSIONE: Donne che parlano (Miriam Toews)

Donne che parlano

Valutazione:
three-half-stars
Autore:
Traduttore:
Illustratore:
Pubblicato da:
Data uscita:
21/09/2018

Pagine:
253
Genere:
ISBN:
9788871688299
ASIN:
B07V9WMKDH
Acquista:

La trama

Venivano narcotizzate con lo spray per le mucche, e poi stuprate nel sonno. Si svegliavano doloranti, sanguinanti. E si sentivano dire che era tutto frutto della loro sfrenata immaginazione, o eventualmente del diavolo. Invece i colpevoli erano uomini della comunità: zii, fratelli, vicini, cugini. Che fare adesso, con questi uomini, che sono in carcere, ma presto usciranno su cauzione e torneranno a casa? Perdonare, come vorrebbe il pastore Peters? Rispondere con la violenza alla violenza? O andare via, per sempre, per affermare una vita diversa, di rispetto, amore e libertà? Il romanzo parte da qui: dal momento in cui le donne devono decidere cosa fare. Sono donne sottomesse, abituate a obbedire. Nascoste in un fienile, prendono in mano, per la prima volta, il proprio destino. La loro ribellione incandescente risana. E linfa vitale anche per August Epp, l'uomo amorevole e giusto che aveva perso la speranza, e che le donne chiamano a testimone della loro cospirazione di pace, perché possa raccontarla.

 – Coraggio –

Ona, Salomé, Agata, Greta, Mejal, Mariche, Neitje e Autje sono sicuramente le donne più coraggiose che abbia mai conosciuto. Sono loro le protagoniste di Donne che parlano di Miriam Toews (Marcos y Marcos).

Donne che parlano è una storia che inquieta e soprattutto turba, come tutte le storie vere. Le donne della comunità mennoita si riuniscono in un fienile per parlare del proprio futuro. Lo fanno di nascosto, lontano dagli uomini.

Dal 2005, quasi ogni ragazza o donna è stata stuprata da quelli che nella colonia molti credevano essere fantasmi, o Satana, presumibilmente quale punizione per i loro peccati. Le violenze avevano luogo di notte. Mentre le famiglie dormivano, le ragazze e le donne venivano rese incoscienti con uno spray anestetico che si usa per il bestiame, ricavato dalla pianta di belladonna. L’indomani si svegliavano doloranti, stordite e spesso sanguinanti, e non capivano il perché. Ultimamente è venuto fuori che gli otto demoni responsabili degli stupri erano uomini di Molotschna in carne e ossa parecchi, dei quali sono parenti stretti – fratelli, cugini, zii, nipoti – delle vittime.

Donne che parlano - Miriam Toews - Marcos Y MarcosMa questa non è una finzione. Nel 2011 un processo in Bolivia portò alla luce gli stupri avvenuti all’interno della colonia Manitoba. Quelle donne, proprio come le protagoniste di Donne che parlano sono state violentate e picchiate nelle proprie case.

Lo spray Belladonna, usato per sedare le mucche, viene usato anche sulle bambine che si risvegliano cariche di dolore e di domande.

Tutte le donne della comunità sono vittime ma le nostre protagoniste sono diverse dalle altre: non vogliono rimanere passivamente in silenzio, devono prendere una decisione. Quale? Prima di addentrarci nelle possibilità, occorre precisare che si tratta di persone che non sanno leggere nè scrivere: la loro unica arma è la parola. Grazie a quella potranno confrontarsi, stilare una lista di pro e contro, prendere una decisione.

Le opzioni erano tre.

  1. Non fare niente.
  2. Restare e combattere.
  3. Andarsene.

Ogni opzione era corredata da una figura, perché le donne non sanno leggere .

‘Non fare niente’ era corredata da un orizzonte vuoto. ‘Restare e combattere’ era corredata dal disegno di due membri della colonia che si affrontavano in un duello sanguinoso. Quanto all’opzione ‘Andarsene’, era corredata dal disegno del sedere di un cavallo”.

Donne che parlano - Miriam Toews - Marcos Y MarcosA scrivere i verbali per loro, August Epp. Unico uomo ammesso alla riunione riporta con dovizia di particolari, ammirazione e commozione il comportamento di queste donne trattate come bestie. D’altra parte anche lui è sempre stato emarginato.

So che la prima cosa che si possa pensare è “Perché non se ne vanno e basta?”. Per capirlo bisogna mettersi nei panni di queste donne senza strumenti in mano. Non sanno leggere, sono state costrette a sposare degli uomini che si sono trasformati in bestie e con tutta probabilità dovranno lasciare persino i propri figli più grandi al villaggio e i sensi di colpa inculcati dalla religione sono una stati – fino ad ora – una costante nei loro ragionamenti:

Non dobbiamo essere perdonate dagli uomini di Dio, urla, per aver protetto i nostri figli delle azioni perverse di uomini malvagi che spesso sono gli stessi identici uomini a cui dovremmo chiedere perdono. Se Dio è amorevole sarà Lui a perdonarci. Se Dio è vendicativo, allora ci ha create a sua immagine e somiglianza. Se Dio è onnipotente, allora perché non ha protetto le donne le ragazze di Molotschna?

La lista di pro e contro viene presa in esame molto seriamente e anche le opzioni passano al setaccio delle otto donne del fienile. Perdonare gli uomini come?

Se il pastore e gli anziani di Molotschna hanno deciso che dopo queste violenze noi donne non necessitiamo di assistenza psicologica perché quando si sono verificate non eravamo coscienti, allora che cosa dovremmo, o addirittura potremmo, perdonare? Qualcosa che non è accaduto? Qualcosa che non siamo in grado di capire? E più in generale, ciò cosa significa? Che se non conosciamo “il mondo” non ne saremo corrotte? Che se non sappiamo di essere prigioniere allora siamo libere?


Donne che parlano è…

Donne che parlano è una storia terrificante ma che meriterebbe cinque stelle perché va diffusa, raccontata, interpretata. A non avermi convinto però è lo stile dell’autrice. Non lo so, nonostante fossi interessatissima a tutto ciò che avveniva durante la riunione ho fatto fatica a concentrarmi e non sono rimasta folgorata dalla sua penna che – secondo me – ha rischiato di rendere un po’ noiosa una storia che meriterebbe tutti gli aggettivi del mondo, tranne questo. Forse tutti quei dialoghi riportati in maniera indiretta e lo stile estremamnete asciutto, non mi hanno aiutato ad appassionarmi.

Consigliato per tutti, bisogna parlare di queste vicende e bisogna provare a immedesimarsi nell’escluso che di solito non riesce ad essere coraggioso. Queste donne ribaltano il mondo conosciuto e lo sfidano nel nome del coraggio, raggiunto anche grazie al potere delle parole.

three-half-stars

Alcune note su Miriam Toews

Miriam Toews

Autentica rivelazione della narrativa canadese degli ultimi anni, Miriam Toews è nata in Manitoba, in una comunità mennonita di stampo patriarcale e fondata sulla colpa.
I suoi genitori avevano vedute più larghe e si sono rassegnati a vederla fuggire. A diciotto anni era già a Montréal, e scrivere è stata la sua ribellione.
Il regista messicano Carlos Reygadas l’ha tentata con il cinema, nominandola sul campo attrice protagonista di Luz silenciosa; la sua intepretazione è memorabile, ma il suo vero terreno era e rimane la scrittura, comica e malinconica in modo inestricabile.
Nel 2004 ha vinto un premio importantissimo, il Governor General’s Award, con Un complicato atto d’amore, pubblicato in Italia da Adelphi.
In fuga con la zia si è aggiudicato il Rogers Writers’ Trust Fiction Prize ed è stato tradotto in dieci lingue.
Mi chiamo Irma Voth richiama la sua esperienza sul set di Luz silenciosa e narra lo stranissimo impatto di una troupe cinematografica su una comunità mennonita nel deserto messicano.
Un tipo a posto è il secondo dei suoi romanzi; I miei piccoli dispiaceri viene pubblicato in Italia da Marcos y Marcos (2015); con questo romanzo è tra i finalisti del Premio Sinbad.

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3 COMMENTI

  • Federica

    E’ una pugnalata questo libro.
    Sia per la storia che racconta, sia per come rende le difficoltà di queste donne a prendere per la prima volta una decisione. E’ stato il mio primo incontro con questa autrice e credo leggerò molti altri suoi libri!

  • Eleonora

    Gentile blogger,
    Volevo precisare che il libro andrebbe classificato come narrativa anglo-canadese, perchè l’originale non è in francese, ma in inglese.
    Il problema del discorso indiretto credo sia un problema di traduzione, purtroppo. In inglese i dialoghi sono tutti diretti e sono fusi nel testo senza l’ausilio di virgolette, ma semplicemente tramite i rientri, andando a capo e aggiungendo, ogni tanto “disse” o “dissi”, alla fine della frase. :o)

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