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Proust controcorrente La prigioniera

Il viaggio con Proust controcorrente è cominciato alla fine della scorsa estate, quando ho lanciato il progetto con timore e orgoglio, pensavo: “Qualcuno sarà così pazzo da stare con me un anno intero?”. La risposta è sì. Sapevo che non saremmo arrivate tutte in fondo, ma sapevo che la costanza avrebbe premiato le lettrici, sapevo che avrebbero provato quello che ho provato io: meraviglia, ammirazione e paura. Paura di questo scrittore immenso, capace di meravigliare e anche di mettere a dura prova la pazienza… questa lunga premessa per dire che sì, siamo quasi alla fine di questo viaggio e come mi capita spesso, vicina al traguardo, ho voglia di rallentare, di rimandare il momento in cui leggeremo la parola “fine”. Sento già la malinconia.

La claustrofobia de La prigioniera 

proust controcorrente la prigioniera

Sono molto legata a questo volume. Questo è il volume della prigionia, dell’ossessione, della gelosia. La prigioniera è strettamente legato al primo, Dalla parte di Swann. Ci sono tutti gli elementi che ritornano e si amplificano.

Il narratore cerca sempre nuovi pretesti per stare male: non accompagna Albertine fuori perché vuole provare gelosia. Gelosia e amore coincidono: se manca una, non c’è l’altra. Albertine soffoca in questa atmosfera eppure non se ne va. E qui si è aperto un bel dibattito: perché non lo lascia? E perché, questo ce lo chiedevamo anche durante il volume precedente è così fumosa la sua figura? La nota può aiutarci:

 

Eppure – ci dicono i biografi e ce lo confermano alcune lettere sorprendenti – la storia di Albertine ricalca da vicinissimo quella di Alfred Agostinelli, il giovane autista che lavorò per Proust nel 1907 e 1908 quando aveva diciannove e vent’anni, che sostanzialmente scomparve poi per cinque anni e fu assunto come segretario nel 1913, che fu uno dei suoi più grandi amori, che abitò presso di lui per circa sei mesi e lo lasciò nel dicembre di quell’anno per diventare avia-tore, che rifiutò di tornare nonostante i doni e le iniziative del padrone-
amico (acquisto di un aereo, soldi dati al padre di Alfred perché convincesse il figlio a rientrare a Parigi), che precipitò in mare con il suo aereo il 30 maggio 1914, e morì affogato. Come poteva Proust, al momento della pubblicazione di Swann (14 novembre 1913), prevedere la morte di Agostinelli? E se prevedeva solo la prigionia di Albertine ma non la sua fuga e la sua morte, come pensava allora di concludere la storia? E probabile che in questo caso si sia davvero realizzato lo splendido paradosso di Oscar Wilde: « La vita imita l’arte […] La letteratura anticipa sempre la vita. Non la copia, ma la modella ai suoi fini»?
 
Alle ragazze che avevano faticato durante Sodoma e Gomorra ho promesso che qui le pagine sarebbero volate e non perché  ci siano colpi di scena o azioni, ma perché qui, l’amore che era scoccato nelle prime righe sarebbe esploso. Il narratore si trasforma in una lente (talvolta deformata) con la quale guardiamo il mondo. Oltre alla gelosia folle, all’egoismo, ci sono meravigliose pagine sulla valenza dell’arte. Musica, pittura… sono pagine che valgono La Ricerca intera. Mentre i Verdurin conquistano la considerazione sociale, Charlus soccombe e il narratore incapace di amare davvero, rovina l’esistenza di Albertine. La catena è spezzata, Albertine è libera.

Il diario di Proust controcorrente La prigioniera

Questo libro ci ha messo quasi tutte d’accordo. Il fastidio iniziale ha lasciato il posto alla meraviglia. Il narratore imprigiona la sua amata, la obbliga a rinunciare a tutto e prova a comprarla con regali costosi. Albertine è bugiarda, libera e controcorrente lo è fino a un certo punto. Non si illude, sa che “Marcel” non la sposerà e quindi rimane. Andreè da amica si trasforma in spia e ogni persona all’interno de La prigioniera si rivela uno strumento ad uso e consumo del narratore, che non scrive e guarda la vita passare con il disappunto della madre.

Ecco alcune delle considerazioni delle ragazze: “Davvero belle le ultime pagine, dove viene descritto il cielo blu di Parigi, gli odori della stanza che fanno volare la mente del N. verso odori di campagna( l’odore della fruttiera di ciliegie e di albicocche).
Parla molto degli odori e del potere evocativo che hanno , la capacità di riportaci alla mente luoghi e tempi antichi. E poi il desiderio di Venezia che ci ricorda gli orari dei treni che conosceva a memoria da bambino. Davvero bello. Il finale poi, ci rende impossibile non andare avanti ed iniziate il prossimo.
Io comunque, pur nell’ambiguità del personaggio, mi sento dalla parte di Albertine, sono contenta che se ne sia finalmente andata, anche se sappiamo che non finirà bene.”
 
E ancora: “Io l’ho trovato in certi punti un po’ pesante proprio perché le situazioni dolorose di questo rapporto d’amore si ripetono ossessivamente e ripetutamente: un sospetto dietro l’altro in un flusso continuo. È un vortice di malattia da cui non si esce. Probabilmente Proust vuole trasmettere al lettore proprio questo senso di soffocamento ed è come sempre bravissimo: un approfondimento psicologico eccezionale. Poi ci sono pagine straordinarie: il sonno di Albertine, le grida di Parigi, il dolore terribile di Charlus, la perfidia dei Verdurin e tutte le riflessioni sull’ amore!In ogni caso resta comunque una lettura bellissima”.
 
Non vi sto raccontando molto, lo so, è difficile farlo, Proust va vissuto. 
 
Non si può però guardare quest’opera senza contestualizzarla:
II 14 novembre 1923, quando a Parigi un libro intitolato Sodome et Gomorthe ILI, La Prisonnière (NRF, 2 volumi) fu finito di stampare (esattamente dieci anni dopo Du côté de chez Swann), il suo autore era già morto da poco meno di un anno (18 novembre 1922), e non aveva neanche potuto rivederne le prime bozze. Il lettore che si accinge a percorrere questa nuova parte della Recherche deve sapere che in essa sono racchiusi gli ultimi sforzi di un moribondo, che non ha avuto né il tempo, né la salute sufficienti per « finire» veramente la sua opera. In alcune pagine, come davanti alla Pietà Rondanini di Michelangelo, sembra di vedere una nuova forma che vorrebbe nascere dalla crisalide spezzata della statua precedente. E questo combattimento tra l’Arte e la Morte qualche volta fa venire i brividi: per esempio, se guardiamo la riproduzione fotografica di quella pagina del dattiloscritto, recentemente ritrovato, di Albertine disparue (p. 648), in cui, con la mano tremante di chi è ormai condannato e sa di esserlo, Proust ha cancellato più di trecento pagine del romanzo, per spostarle – si ritiene – non si sa dove, senza più riuscire a far tornare i conti, a reinventare un nuovo ordine, sperimentando davvero, come Bergotte morente, il fallimento dello scrittore sconfitto dalla malattia, la vittoria del Caos, di Thana-
tos. Giova dunque accostarsi all’opera postuma di Proust con un po’ di «pietas», trattenendo il fiato come in una camera ardente: e non scandalizzarsi quindi, ma anzi commuoversi quando si incontrano ridicole incongruenze, ripetizioni, contraddizioni.

Le citazioni di Proust controcorrente  

Ecco alcune delle frasi che abbiamo sottolineato. Questa volta, forse perché alcune di noi sono partite in ritardo e altre non hanno finito, siamo state più silenziose ma non per questo meno coinvolte:

Delle ali, un altro apparato respiratorio che ci permettessero di attraversare l’immensità, non ci servirebbero a nulla, perché se andassimo su Marte e su Venere conservando gli stessi sensi, questi rivestirebbero con l’aspetto medesimo delle cose della Terra ciò che ci fosse dato vedere. L’unico vero viaggio, il solo bagno di Giovinezza, non consisterebbe nell’andare verso nuovi paesaggi, ma nell’avere altri occhi, nel vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che ciascuno di essi è; e questo è possibile con un Elstir, con un Vinteuil, con i quali – e con i loro pari –
noi voliamo veramente di stella in stella.

 

La morte degli altri è come un viaggio che noi stessi avessimo intrapreso e in cui – a cento chilometri, ormai, da Parigi –

ci ricordassimo di aver dimenticato due dozzine di fazzolet-
ti, di non aver lasciato una certa chiave alla cuoca, di non aver salutato lo zio, di non aver chiesto il nome della città in cui si trova quell’antica fontana che desideriamo vedere. E intanto tutte queste dimenticanze che ci assalgono e che raccontiamo – tanto per dire – all’amico che viaggia con noi, ottengono come sola replica il rifiuto di prendere atto della banchina, del nome della stazione gridato dal ferro-viere, il che ci allontana ulteriormente dalle realizzazioni ormai impossibili, cosicché, rinunciando a pensare a cose irrimediabilmente omesse, apriamo il cestino dei viveri e ci scambiamo giornali e riviste.

L’ amore infatti, come all’inizio è formato dal desiderio, così più tardi è mantenuto in vita solo dall’ansia dolorosa.Sentivo che una parte della vita di Albertine mi stava sfuggendo. L’amore, nell’ansia dolorosa come nel desiderio felice, è esigenza d’un tutto. Non nasce, non sussiste se non resta almeno una parte da conquistare. Si ama soltanto ciò che non si possiede per intero

Di solito, si detesta quel che ci è simile, e i nostri propri difetti, visti dal di fuori, ci esasperano.[…..] È l’eccessiva somiglianza a far sì che nonostante l’affetto -e tanto più, a volte, quanto più grande è l’affetto – la divisione regni nelle famiglie.

Proprio perché l’avevo visto come un uccello misterioso, poi come una grande attrice della spiaggia, desiderata, forse ottenuta, Albertine mi era parsa meravigliosa. Una volta ridotto in cattività, nella mia casa , l’uccello che una sera avevo visto avanzare a passi misteriosi lungo la diga, circondato dalla congregazione delle altre fanciulle che sembravano tanti gabbiani venuti da chissà dove, Albertine aveva perduto tutti i suoi colori, via via che gli altri perdevano ogni speranza di possesso su di lei. A poco a poco aveva perduto la sua bellezza.

E così, alla noia alquanto greve che provavo accanto a Albertine s’alternava un desiderio fremente, pieno di immagini magnifiche o di rimpianti, a seconda che si trovasse vicino a me nella mia camera, o anch’io le rendessi, nella mia memoria, la sua libertà, là sulla diga , […..] ora tolta da quel quadro, posseduta e senza grande valore, ora reimmersa in esso, assimilata agli spruzzi del mare o all’ebbrezza del sole[…..], ora restituita alla spiaggia, ora di ritorno in camera mia, in una sorta di amore anfibio.

I sogni, si sa, non sono realizzabili; ma non ne faremmo , forse, senza il desiderio, e farne è utile perché li vediamo crollare e il loro crollo risulta istruttivo. 

Lo seppellirono, ma per tutta la notte prima dei funerali, nelle vetrine illuminate, i suoi libri, disposti a tre a tre, vegliarono come angeli dalle ali spiegate sembrando per colui che non era più, un simbolo di resurrezione. 

I testi di supporto

Proust controcorrente dalla parte di swann

Questa parte la ripeterò ogni volta perché magari qualcuno potrebbe imbattersi in questo articolo e non nei precedenti. 

 


Proust controcorrente

Vi lascio gli articoli sulle parti precedenti che tra stanchezza e imprecisioni non saranno pezzi da critica letteraria ma sono il diario del nostro viaggio e per questo meritano di essere conservati.

  1.  Dalla parte di Swann (LEGGI QUI l’articolo)
  2. All’ombra delle fanciulle in fiore  (LEGGI QUI l’articolo)
  3. I Guermantes (LEGGI QUI l’articolo)
  4. Sodoma e Gomorra (LEGGI QUI l’articolo)

Sono molto grata, lo sono sempre. Leggere Proust da sola è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita certo, ma leggerlo insieme è amplificare ogni senso. 

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