Ci sono parecchie cose che in questo periodo mettono a dura prova la mia allegria in questo mondo letterario ma Proust controcorrente è l’ossigeno, è la spinta che mi fa andare avanti. Periodo difficile per le letture e mentirei se vi dicessi che Proust non ne ha risentito. Ho fatto fatica a godermi Sodoma e Gomorra perché ero presa da tanti altri impegni, da scadenze letterarie, frustrazioni… ma il mio gruppo è speciale e con tenacia e passione ha portato a termine anche questo volume e io con loro.
La divisione di Sodoma e Gomorra
Questo volume, a differenza di altri ci ha diviso. C’è chi l’ha trovato – seppur diverso – scorrevole come gli altri, e chi invece ha fatto decisamente fatica. Sodoma e Gomorra è un po’ un libro ponte. Qui i personaggi tornano e ritornano, si affacciano sulla scena come in un romanzo autoconclusivo, eppure mentre le pagine scorrono sentiamo una tensione crescente. Sappiamo che succederà qualcosa ma ancora non sappiamo cosa.
La parte dedicata ai salotti ci ha messo a dura prova. L’ascesa di Madame Verdurin ci ha sorpreso e forse ora guardiamo persino i Guermantes sotto un’altra luce. Il narratore fa finalmente parte dei salotti che ha tanto ammirato e non mancano i colpi di scena, le malignità, le etichette violate… Quando Sodoma e Gomorra si apre scopriamo l’omosessualità di Charlus, un colpo di scena per N. che si trova ad assistere all’amore carnale tra Charlus e Jupien. Da quel momento per il protagonista cambia tutto, è come se guardasse il mondo con nuovi occhi. Non solo vanno a posto le incongruenze che percepiva in Charlus ma riesce persino a scorgere l’omosessualità in altre persone che frequentano il bel mondo.
Lo stesso sguardo verrà poi applicato ad Albertine: la vicinanza con Andrée e con le altre ragazze riaccende non solo il fuoco della gelosia, e dunque dell’amore, ma anche una serie di sospetti che ci fanno sorridere.
Parte preferita in assoluta quella delle intermittenze del cuore. Quando il narratore si rende conto della perdita della nonna si immerge in quella sofferenza senza risparmiarsi nulla.
Le pagine scorrono poi veloci tra finti duelli, gelosie e cambi di idea repentini: il N. passa le sue giornate a correre dietro ad Albertine e il disappunto di sua madre, per un momento, gli riapre gli occhi. Ma quando Sodoma e Gomorra si chiude, il protagonista ha già cambiato idea: sposerà Albertine.
Il diario di Proust controcorrente Sodoma e Gomorra
Durante questa lettura siamo state più silenziose ma non per questo meno coinvolte. L’inizio ha convinto tutte:
“Le prime pagine di Sodoma e Gomorra sono a dir poco straordinarie. L’ atteggiamento di Charlus e Jupien viene descritto con tale ironia e abilità dell’uso delle parole che dimostra ancora una volta che per Proust scrivere era una missione. L’apparizione del calabrone: geniale”.
E ancora: “irei quasi che “l’incontro” tra Charlus e Jupien ha dei tratti satirici,quasi grotteschi e caricaturali: l’immagine ornitologica degli uomini-uccelli, il paragone dell’orchidea e del calabrone, il centauro, la femminilizzazione del maschile!! Un inizio davvero con botto”.
“Ho riletto due volte la pagina dove descrive Charlus ” in punta” sul giovane marchese di Surgis. Insensibile a tutto ciò che accade intorno, Charlus viene paragonato a un mago, un vecchio stregone, una Pizia sul suo tripode, con gli occhi fuori dalla testa, come intento a cercare di risolvere l’enigma della Sfinge, mentre sta fissando il giovane marchese. Descrizione stupenda di un personaggio particolarissimo che si sta delineando sempre meglio.”.
Le intermittenze del cuore sono pagine dolorose e meravigliose. Il N. si risveglia da una sorta di torpore e improvvisamente si rende conto che non vedrà mai più la nonna. Anche il dolore della madre viene guardato da un altro punto di vista. E poi la trasformazione tanto cara ad Amélie Nothomb (lo racconta ad Ilaria Gaspari in Chez Proust): la mamma diventa la nonna. Assorbe comportamenti, abitudini, frasi della defunta e c’è così tanta tenerezza e verità in queste descrizioni, che è impossibile non commuoversi. E anzi, mi tocca così profondamente che faccio fatica a parlarne.
“Ho letto anche le pagine tragiche e strazianti sul ricordo della nonna nella camera dell’hotel di Balbec. Credo che siano centrali nell’opera. C’è il tema della morte che il narratore scopre in fondo a se stesso, e quando realizza che la nonna è morta è troppo tardi. Il tema della memoria che è sempre più fondamentale. “Ai disturbi della memoria sono legate le intermittenze del cuore”. Poi ancora il tema del tempo che è trattato attraverso la divisione dell'”io” in diversi momenti temporali. Ci sono due “io” passati: quello del tempo felice con la nonna e quello del tempo senza la nonna e c’è un “io” presente che si rende finalmente conto della perdita della nonna amata. Questi “io” diversi coincidono solo in rari momenti come in questo ricordo involontario. È l’esperienza tragica di un uomo che si rende conto dello sfasamento tra la realtà dei fatti e quella vissuta interiormente, tra l’io e il mondo. Pagina bellissime che scavano in profondità nell’interiorità del narratore che è poi quella di ognuno di noi”.
Ma in queste pagine ci sono anche passaggi sul rapporto sonno e veglia degni di essere analizzati e quasi ci sembra di ritornare al primo volume:
“Bello il rapporto veglia/sogno, sono vari gli esempi in questo volume: il narratore che sogna la nonna ancora viva, la signora Cottard dai Verdurin:”la temperatura del mio bagno è al punto giusto, mormorò, ma le piume del dizionario… gridò rialzandosi. Oh! Dio mio come sono sciocca! Che dico? Pensavo al mio cappello, devo aver detto una stupidaggine, ancora un po’ e mi stavo assopendo, questo maledetto fuoco”. Tutti si misero a ridere perché non c’era fuoco.
Le citazioni di Proust controcorrente
Ecco come di consueto alcune frasi che ci hanno colpito:
Ma non meno forse della perdurante assenza di Albertine, la sua contemporanea presenza in un “altrove” che lei, evidentemente aveva trovato più piacevole, e che io non conoscevo, mi era causa d’un sentimento doloroso suscettibile di trasformarsi- ad onta di quel che avevo detto a Swann, appena un’ora prima circa la mia incapacità di essere geloso, e qualora avessi visto la mia amica ad intervalli più brevi – in un bisogno ansioso di sapere dove, con chi passasse il suo tempo.
Nel caso di Albertine, sentivo che non avrei mai saputo nulla, che non sarei mai riuscito a districarmi nel molteplice intreccio dei dettagli reali e dei dati ingannevoli. E che sarebbe stato così sempre, a meno di rinchiuderla in prigione( ma si evade) sino alla fine. Quella sera, tale convinzione non mi trasmise che un’inquietudine nella quale, tuttavia, sentivo fremere come un preludio di lunghe sofferenze
Ebbi infine il piacere di veder entrare Swann in quella stanza così grande che, in un primo momento, egli non s’accorse della mia presenza. Piacere intrec ciato alla tristezza, una tristezza che gli altri invitati, forse, non provavano, ma si traduceva per essi in quel la sorta di fascinazione esercitata dalle forme inattese e singolari d’una morte ormai prossima, una morte che “si porta già”, secondo il modo di dire popolare, “sulla faccia”. E fu con una stupefazione non lontana dalla scortesia, impastata di curiosità indiscreta, di crudeltà, di ripiegamento, al tempo stesso rassegnato e inquieto, su se stessi (un misto, avrebbe detto Robert, di suave mari magno e di memento quia pulvis), ? che tutti gli sguardi si fissarono su quél volto cui la malattia aveva così minuziosamente toso, corroso le guance – quasi una luna calante – che, eccettuata una certa angolazione (quella, senza dubbio, secondo la quale Swann vedeva se stesso); esse sembravano sfuggire come un fondale inconsistente che solo grazie a un’illusione ottica può assumere l’apparenza dello spessoreMa non potei sopportare d’avere sotto gli occhi le onde di quel mare che la nonna, un tempo, era capace di contemplare per ore; alla nuova immagine della loro indifferente bellezza s’accompa-gnava subito il pensiero che lei non le vedeva; avrei voluto tappare le orecchie al loro fragore, perché la pienezza luminosa della spiaggia scavava adesso un vuoto nel mio cuore; tutto sembrava dirmi, come i viali e i prati del giardino pubblico dove una volta, da bambino, l’avevo perduta: « Non l’abbiamo vista», e sotto la rotondità del cielo pallido e divino mi sentivo oppresso come sotto un’immensa campana azzurrogno. la che delimitasse un orizzonte dal quale la nonna era esclusa. Per non vedere più nulla, mi girai dalla parte del muro; ma era, ahimè, la parete che ci serviva al. lora per i nostri messaggi mattutini – la parete che, docile come un violino nel rendere tutte le sfumature d’un sentimento, diceva con tanta esattezza alla nonna il mio timore di svegliarla e, al tempo stesso, che, già sveglia, non mi sentisse e non osasse muoversi; e poi, subito, come la replica d’un secondo strumento, m’an-nunciava il suo arrivo e m’invitava alla calma. A quel la parete non avevo il coraggio di avvicinarmi più che a un pianoforte suonato un tempo dalla nonna, e che vibrasse ancora del suo tocco. Sapevo che adesso, per quanto mi fossi affannato a bussare, anche aumentando l’intensità dei colpi, più niente avrebbe potuto ti destarla, non avrei udito alcuna risposta, la nonna non sarebbe più venuta.
Forse, nel rimpianto di colei che non è più vi è una sorta di suggestione, che finisce col far affiorare sui nostri lineamenti delle somiglianze che già avevamo in potenza; e,| soprattutto, vi è un arresto della nostra attività più specificamente individuale (nel caso di mia madre, il buon senso, l’allegria scanzonata ereditati da suo padre), che non esitavamo, finché la persona amata era in vita, ad esercitare, magari anche a sue spese, e che controbilanciava il nostro ca-rattere, per il quale eravamo eredi suoi e solo suoi.Morta lei, ci faremmo scrupolo d’essere diversi, ormai ammiriamo soltanto ciò che lei era, che anche noi eravamo ma mischiato, ancora,i a qualcos’altro, e che sa-remo, d’ora in poi, in modo esclusivo. In questo senso (e non in quello così vago, così falso, che si crede di solito) si può dire che la morte non è inutile, che i morti continuano ad agire su di noi.…quelle strade mi ricordavano che era mio destino inseguire soltanto dei fantasmi, esseri la cui realtà, per buona parte, stava nella mia immaginazione; in effetti ci sono persone -ed era stato sin dalla giovinezza il mio caso- per le quali tutto ciò che ha un valore fisso, verificabile da altri, la fortuna, il successo, le posizioni brillanti non contano; ciò di cui hanno bisogno sono i fantasmi. Ad essi sacrificano tutto il resto, fanno tutto il possibile, si servono di tutto per ritrovare quel certo fantasma. Ma questo non tarda a svanire; allora se ne rincorre un altro, salvo poi tornare al primo. Non era la prima volta che cercavo Albertine, la fanciulla vista il primo anno davanti al mare. Altre donne, è vero, s’erano interposte tra l’Albertine amata la prima volta e quella che in quei giorni non lasciavo quasi mai; altre donne, e in particolare la duchessa di Guermantes. Ma perché, ci si chiederà, darsi tanta pena riguardo a Gilberte, tormentarsi tanto per Madame de Guermantes, se poi, diventato amico di quest’ultima, finivo col non pensare più a lei ma soltanto ad Albertine? Swann, prima di morire avrebbe potuto rispondere, lui che era stato collezionista di fantasmi. Di fantasmi inseguiti, obliati, nuovamente cercati, a volte per un solo incontro, e per toccare una vita irreale che subito si dileguava, quelle strade di Balbec erano piene. Se pensavo che i loro alberi i peri, i meli, le tamerici- mi sarebbero sopravvissuti mi sembrava di riceverne il consiglio di mettermi finalmente al lavoro, fin tanto che non era ancora rintoccata l’ora del riposo eterno.
I testi di supporto
Questa parte la ripeterò ogni volta perché magari qualcuno potrebbe imbattersi in questo articolo e non nei precedenti.
- Proust senza tempo di Alessandro Piperno (ACQUISTA QUI il libro)
- Saggi su Proust di Bernard de Fallois (ACQUISTA QUI il libro)
- Monsieur Proust di Cèleste Alberet (ACQUISTA QUI il libro)
- La Recherche di Proust di Giovanni Raboni (ACQUISTA QUI il libro)
- Il podcast Chez Proust di Ilaria Gaspari (ASCOLTA QUI il podcast)
- Sodoma e Gomorra letto da Paolo Pierobon (ASCOLTA QUI il libro)
Se l’altra volta ho lodato l’audiolibro, Iaia Forte per me rimane la migliore, questa volta ho fatto tanta fatica, così tanta che sono sincera, non sono arrivata alla fine.
Ancora una volta in questa manciata di righe finali, sento di dover ringraziare il fantastico gruppo che sta viaggiando con me. Ci supportiamo quando siamo in difficoltà e sorridiamo quando ci annoiamo (sì capita anche a noi) e prendiamo in giro il narratore per il suo comportamento narcisista. A volte ci fa tenerezza, a volte lo odiamo.
Ora siamo pronte e con ancora più entusiasmo partiamo con La prigioniera!
1 COMMENTO
Daniela
1 anno faBrava Ale come sempre ma forse ancora di più questa volta perché sei riuscita a tirare le fila di una lettura che ci ha dato qualche problema. Proust , il gruppo, tu soprattutto mi state aiutando tanto in un momento di grande difficoltà. magari ti spiegherò in privato., ol pensiero di dovermi concentrare su una lettura complessa che mi appassiona mi distrae e riesce a darmi un po’ di pace. Grazie davvero ma non è solo un grazie