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A TU PER TU CON Denise Silvestri (Traduttrice)

“Tradurre è il vero modo di leggere un testo”. La frase di Italo Calvino ci colpisce come frustata sulla schiena. Quanti di noi sanno tradurre da un’altra lingua? E soprattutto, quanti di noi prestano attenzione al ruolo del traduttore in letteratura? Io non so rispondere con precisione a queste domande. Raramente mi sono chiesta cosa significasse lavorare su un testo altrui, restituirli ai lettori nascondendo tra le pagine qualcosa di se stessi.

La vita lavorativa di questi interpreti spesso si consuma nell’ombra. Quasi mai vediamo i loro volti e sentiamo le loro voci, eppure hanno un ruolo fondamentale . Seguono la vita dei libri a cui hanno lavorato a distanza, dietro a una tenda, pronti a raccogliere successi e insuccessi. Tra difficoltà e soddisfazioni, arrivano a trascorrere mesi, a volte anche anni, sulle sudate carte di altri autori.

Insieme alla traduttrice Denise Silvestri, gettiamo uno sguardo non soltanto sul complesso mondo delle traduzioni in generale, ma sul complicato universo che riguarda la letteratura russa, un genere che fatica a trovare il proprio spazio in Italia.

  • Silvestri è laureata in lingue e letterature straniere, con specializzazione in letteratura russa contemporanea e da diversi anni lavora nel campo dell’editoria. Quando e come è nata la passione per la traduzione?

Per caso. Io diversamente da altri colleghi, non ho sentito dentro di me il fuoco sacro della traduzione ma ne ho grande rispetto. Ho cominciato a lavorare in editoria come correttrice di bozze, redattrice e revisora, e quasi subito mi è stato proposto anche di tradurre. La mia primissima traduzione è stata dall’inglese per Rizzoli, pubblicata con altre due colleghe; dal russo ho iniziato con l’allora neonata ISBN. Mi hanno offerto questa possibilità e mi sono buttata.  Con gli anni si migliora, quindici anni fa ero molto più acerba di così.

  • Quali consigli ti sentiresti di dare ai giovani traduttori, o a chi intende approcciarsi a questo mondo?

Come dicevo ho grande rispetto per questo lavoro, ragion per cui credo sia indispensabile non svendersi mai, per se stessi e per l’intera categoria. Tenere alta la guardia sui compensi ma anche sulle clausole contrattuali. Il modo migliore per riuscirci è restare sempre in contatto con altri colleghi, e far circolare le informazioni. Non a caso esiste Strade, la Sezione dei Traduttori editoriali di Slc-Cgil, ma anche altre associazioni di categoria, come Aiti, Aniti, ecc. L’importante è non restare soli.

  • Tra i tanti libri tradotti, quale occupa un posto speciale?

Sicuramente Il tempo delle donne di Elena Cižova, che ho tradotto per Mondadori alcuni anni fa. Mi piacerebbe tanto tradurre più autrici ma mi capita sempre più spesso di dare voce agli uomini. All’inizio traducevo e revisionavo parecchi libri del cosiddetto genere chick-lit. Mi divertivo molto a renderne la freschezza. Tra l’altro, secondo me, la letteratura di intrattenimento per un traduttore è una bella scuola da cui partire e per i “non lettori” una buona spinta a volere di più. Infatti, è questo tipo di letteratura che traghetta, secondo me, i “non lettori” verso opere più impegnative. Anche per questo mi dispiace intuire dietro una traduzione un lavoro raffazzonato, svolto al limite dei tempi e dei compensi. Si finisce per prendere in giro il lettore e questo fa male anche alla diffusione della lettura in generale.
Ultimamente mi sto dedicando con grande entusiasmo alla letteratura per ragazzi dall’inglese. Dalla Russia arriva pochissimo materiale di questo genere..

  • E a proposito di Russia, negli ultimi mesi il nome di Denise Silvestri è balzato alle cronache per la traduzione de Nel Primo Cerchio di Aleksandr Solženicyn. Un’opera rimasta nel cassetto anni prima che Voland la pubblicasse. Come mai? 

Mentre lavoravo come redattrice mi era stato affidato un compito: vedere quali differenze ci fossero tra l’edizione del 1968 pubblicata in Italia e la versione originale che veniva proposta per una nuova pubblicazione. Bisognava decidere se era il caso di ripubblicarlo nella versione integrale. Di Solženicyn sapevo davvero poco, all’università mi era capitato di leggere Arcipelago Gulag, Una giornata di Ivan Denisovič, Divisione cancro e altre opere minori. Mi sono trovata davanti a questo testo e mi dicevo: “Qui manca una frase, qui un paragrafo… addirittura un capitolo”. Così sono tornata dal mio direttore editoriale e gli ho spiegato che ci trovavamo di fronte a una redazione diversa. Andava ritradotto completamente e, da spericolata quale sono, ho accettato di farlo io. Di giorno lavoravo in casa editrice e di sera a quello che poi ho cominciato a chiamare il “Cerchietto”. Nel mezzo ho avuto una gravidanza e… tre giorni dopo aver partorito mi ero già rimessa a tradurlo.
Mi ero approcciata al libro come se mi trovassi davanti Arcipelago Gulag, invece mi sono sorpresa a ridere in più parti, a stupirmi della profondità dei personaggi, compresi quelli femminili tutt’altro che piatti. Nella fase di auto-revisione, poi, mentre leggevo e mi correggevo continuavo a pensare: “Ma che bello”.
Il cambio di direzione editoriale, però, ha comportato lo stop alla pubblicazione e così il libro è rimasto nel cassetto a lungo. Ho bussato a molte porte: alla fine mi ha aperto Daniela Di Sora di Voland.
Che sia finito nelle mani di Voland è stato un vero miracolo, perché lì eravamo in tanti a conoscere il russo. Io traducevo, Daniela revisionava, altre redattrici leggevano. È stato fatto controllare anche a Cesare De Michelis. Quando abbiamo pensato che fosse più o meno buono, l’abbiamo sottoposto al giudizio di Anna Zafesova che ha scritto la postfazione, ricordo ancora le note che mi mandava ai capitoli e che intitolava “Pulci”. I libri sono così, possono venire davvero bene solo se ci si mette cura e si fa un grande lavoro di squadra

  • E’ così difficile convincere un editore a pubblicare letteratura russa?

Alle presentazioni di Nel primo Cerchio, o di altri titoli russi, chiedo spesso al pubblico “Nominatemi dei contemporanei russi” e nessuno alza la mano. Se chiedi la stessa cosa riferendoti a un autore di lingua inglese quasi tutti sanno rispondere. Significa che c’è ancora un grande lavoro da fare.
Sono tutti convinti che la letteratura russa sia per forza un mattone noioso e triste. Così i lettori finiscono per pensare: “Tanto vale allora leggere solo Tolstoj o Dostoevskij”, i classici, insomma. In realtà ci sono cose molto interessanti anche nella letteratura russa contemporanea. In Italia non arrivano, o arrivano troppo tardi, quando il momento non è più quello giusto. E si innesca così un circolo vizioso. I russi non si spingono, per loro non si fanno quasi presentazioni, non si investe più di tanto. In questo le case editrici piccole e medie sono pioniere: scommettono su un libro o un autore che alla fine funziona, e alle grandi tocca accodarsi.

  • Come te la sei  cavata con le parole intraducibili, esistono davvero? 

Il russo è una lingua molto diversa dall’italiano e che ti dà, a mio parere, maggiori libertà in traduzione. Ha molte strutture grammaticali che non coincidono con le nostre. Così finisco per seguire molto l’istinto. Seleziono alcuni fattori più preponderanti per me che non è detto siano gli stessi per un altro traduttore.
Per quanto riguarda le parole intraducibili, è vero che ci sono, alcune non hanno sempre corrispondenza fra una lingua e un’altra, ma per me restano comunque traducibili. Devi sempre trovare come renderle nel modo più appropriato. A volte basta scriverle traslitterate, lasciandone dunque il colore, e permettere al lettore di capirne il senso dal contesto o aiutarlo con una piccola nota. È una bella sfida anche questa.
A proposito di parole intraducibili russe vi consiglio “La vita privata degli oggetti sovietici” di Gian Piero Piretto. Contiene la storia di vari oggetti russo-sovietici, che vanno compresi in quel tempo e in quel luogo. Una vera delizia.

  • Un traduttore non vale l’altro. Approcciarsi a un testo significa inevitabilmente farlo con i propri occhi, le proprie idee…

Ogni traduttore trova la sua voce, se così non fosse basterebbe una macchina per tradurre un libro. Una traduzione risente molto del modo in cui senti la lingua di partenza e la riproduci in quella d’arrivo. Il bravo traduttore, per me, quindi, è un professionista-artigiano-artista onesto, che cerca di fare il proprio lavoro al meglio. Non credo a chi ha in tasca la verità rivelata. La traduzione è un gioco di equilibri. Non si può giudicare un lavoro di traduzione da una frase. Quelli che sembrano errori a volte potrebbero essere solo scelte diverse dalle nostre.
Quando ho tradotto Nel primo cerchio la stessa Anna Zafesova mi ha detto che lei l’avrebbe tradotto in maniera più scattante, meno “fluida”, ma che era stupita di quanto risultasse “fedele” anche così. Trovo questa cosa davvero affascinante.

  • Com’è da traduttore il rapporto con un testo che non è tuo ma che inevitabilmente ha qualcosa di tuo alla fine?

I traduttori, in generale, trattano i libri che traducono un po’ come dei figli di carta. Non puoi fare a meno di averne cura. Di accompagnarli fino a un certo punto e poi lasciarli vivere. Di provare gioia quando hanno successo. Rimanerci male quando non vengono capiti. Ma possono anche capitarti libri che non ti piacciono per niente e che non vedi l’ora di finire! È pur sempre lavoro e non è detto che uno trovi ogni volta il libro delle meraviglie… quando invece ti capita un autore lontano da te anni luce, a livello di idee e mentalità, ma incredibilmente affine nella lingua e nelle intenzioni ti fai un sacco di domande. È una sintonia che non si può spiegare.

 

 

    • Forse sono tante le cose che mi differenziano da Denise a partire dalla professione, ma credo che siano molte di più quelle che ci accomunano. Penso all’esperienza costante del precariato, all’amore per le parole e soprattutto all’ambizioso desiderio di abbattere uno dei tanti pregiudizi che si aggira tra i lettori con un slogan semplice semplice: “La letteratura russa non è noiosa”.

      Alcune note su Denise Silvestri

      Denise SilvestriDenise Silvestri lavora in editoria dal 2004 come traduttrice dal russo e dall’inglese, revisora, redattrice e consulente in ambito russista. Ha tradotto opere di Vladimir Sorokin, Fazil’ Iskander, Vladimir Solov’ëv, Elena Čižova, George R.R. Martin, Candace Robb, e revisionato autori come Vasilij Aksënov, Anna Politkovskaja, Arkadij Babčenko, William T. Vollmann, Louis de Bernières, oltre a essersi occupata di un’infinità di bozze e di progetti editoriali.
      Nel primo cerchio di Aleksandr Solženicyn, tradotto per Voland in un’inedita versione integrale, è la sua più recente fatica.

       

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2 COMMENTI

  • Marina

    Difficile il compito del traduttore! Non basta conoscere una lingua per rendere perfettamente il pathos di un’opera letteraria. Quanti romanzi massacrati letteralmente,tradotti quasi alla lettera. Una sofferenza. Per fortuna ho studiato lingue e quindi almeno tutto quello che esce in francese lo leggo in originale (al momento sto rileggendo Pêcheur d’Islande,un piccolo gioiello). Con l’inglese è giá più dura (anche perché il senso di una frase lo capisci di sicuro ma è bello interpretare bene anche ogni parola e quindi la cosa va un po’ per l lunghe. Comunque vale la pena di provarci. Il russo (mia conoscenza solo scolastica,ahimé)lo lascio a Denise di cui leggerò con piacere Il primo cerchio. Poi ti dirò se sono stata soddisfatta😃

    • Grazie, l’intervista è nata da una mia grande curiosità. Volevo sapere di più, è un mondo sconosciuto e affascinante. Per Nel primo cerchio… so che lo amerai! Aspetto tue notizie!

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