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RECENSIONE: Grande Madre Acqua ( Živko Čingo)

Grande madre acqua - Živko Čingo - CasaSirio
RECENSIONE: Grande Madre Acqua ( Živko Čingo)

Grande Madre Acqua

Valutazione:
four-stars
Autore:
Traduttore:
Pubblicato da:
Data uscita:
03/05/2018

Pagine:
192
ISBN:
978-8899032395
ASIN:
B07CYKXMH7
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La trama

Lem e Keïten sono orfani, due cani erranti nella Jugoslavia di Tito. Raccattati dalla strada, vivono in un ex manicomio adibito a orfanotrofio, circondati da un muro altissimo che impedisce ai loro sogni di farsi largo nelmondo reale.
Quando i pidocchi invadono la Chiarezza, Lem e Keïten sono scortati sulla riva di un lago e tosati come bestie per arginare l’epidemia. La Grande Madre Acqua li osserva inerme, sola responsabile della loro disgrazia e insieme unica fonte di speranza.
Nell’orfanotrofio vige un clima di terrore. La compagna Olivera Srezoska e il Piccolo Padre tengono le redini di un serrato controllo. L’arte e la risata sono le uniche armi con cui è possibile bucare il muro e sentire ancora il mormorio della Grande Madre Acqua.

 – Speranza – 

Grande Madre Acqua di Živko Čingo (Casa Sirio sciamani) è un libro che mostra crudeltà, sofferenza. E’ una storia di confini, di muri che sembrano invalicabili, un racconto di schiavitù, ma è anche un percorso di speranza.

Grande Madre Acqua tocca dei nervi scoperti, ci mostra qualcosa che non vorremmo vedere mai: la sofferenza dei bambini che vengono umiliati, imprigionati, costretti a subire le botte, il silenzio, i diktat di chi conosce una sola strada. Eppure l’autore ci mostra anche molto altro: i sogni dell’infanzia, la voglia di rialzarsi, la volontà di non arrendersi.

Grande madre acqua - Živko Čingo - CasaSirioLa voce protagonista è quella di Lem, ormai adulto, che ripercorre gli anni dell’infanzia vissuti in un orfanotrofio nella Jugoslavia di Tito, precisamente in Macedonia, un territorio che nella prefazione viene definito “senza fissa dimora”, circondato da Paesi ingombranti che non hanno mai lasciato spazio.

Gli zii di Lem sono costretti a lasciarlo in orfanotrofio, la guerra ha messo in ginocchio tutti e la famiglia di contadini nella quale è cresciuto il protagonista, non fa certo eccezione. Il momento dell’addio fa stringere il cuore, Lem ha come l’impressione che la zia non veda l’ora di liberarsi di lui. E qui capiamo che il libro ci susciterà emozioni opposte. La tristezza si impadronisce sì del dodicenne abbandonato dalla famiglia, ma al tempo stesso la libertà scorre nelle sue vene, è pronto per una nuova avventura.

Le porte dell’istituto “Chiarezza” si aprono e assomigliano a un vero e proprio inferno. Non sono solo le condizioni igieniche a preoccupare, ma anche quelle mentali. In questo inferno, Lem trova una spalla in Keïten, bambino vivace e capace di leggergli l’anima. Una sintonia che solo i bambini, e forse soltanto durante le disgrazie, possono provare.

Attorno all’istituto un muro fisico e simbolico. Le giornate trascorrono mentre gli “ospiti” cercano disperatamente di divertirsi provando a misurare quel muro che ha una storia tutta sua.

Nascondeva le inquietudini di coloro che erano stati rinchiusi qui prima di noi, e questo ci provocava un’emozione dalla forza inaudita.

Gli incomprensibili segni lasciati dagli “indigeni” – era così che chiamavamo i folli che ci avevano preceduto, probabilmente non più di quindici visto che quasi tutti gli altri, dopo la guerra, erano tornati a una vita normale –  ci gelavano fino al midollo. Quei folli non scherzavano, minacciavano di comparire ogni un istante, di balzare da questa parte del muro come se loro anime inquiete, malate, fossero rimaste in prestare la sua superficie. Avevi l’impressione che stessero per tornare da un momento all’altro, che ti guardassero, erano spettri viventi, ma la cosa peggiore era che i loro segni celavano una coscienza, una ragione umana.

L’istituto si chiama, come per beffa, Chiarezza. Con il passare del tempo quell’edificio assume sempre di più i tratti di una fortezza. I bambini diventano ciechi, le finestre murate, le porte sbarrare… tutto per tenere fuori lei, la Grande Madre Acqua che rappresenta una possibilità: la vita altrove, la vita che sa di libertà.

La neve, le montagne, i villaggi bruciati, i frutteti abbandonati, i campi disertati,ogni cosa restava lontana, solo la Madre Acqua viveva in noi. Lei era tutt’intorno, che io sia maledetto, sembrava aspettare soltanto noi. Fu in quel momento che ci riconobbe. La sua voce soave pareva dirci: “Piccoli miei,  questo è il cammino, avanzate e resistete”. E noi avanzammo, parola d’ordine  avanzammo.

Avanti nonostante tutto, nonostante le punizioni corporali, nonostante i pidocchi che si intrufolano in ogni piega del corpo, nonostante il freddo che penetra nelle ossa e congela i pensieri.

Grande madre acqua - Živko Čingo - CasaSirioLa spontaneità tra le mura di Chiarezza non viene incoraggiata e anzi quasi punita. I due ragazzini trovano un’affinità subito, solo guardandosi, eppure sono stati “accoppiati” per preciso volere dell’istituto. Keiten deve stare con Lem perché la regola è assegnare un compagno turbolento a uno calmo.

Sono tantissimi gli episodi che il nostro protagonista riporta, alcuni ci fanno accapponare la pelle, altri ci commuovono… altri ancora ci lasciano senza parole. I bambini sembrano vittime di un esperimento architettato da un pazzo: si muovono come mosche in un labirinto e sembrano perdere (ripetutamente) il lume della ragione. In un certo periodo la vita degli orfanelli ruota attorno alla conquista del dossier. Tutti ne vogliono uno in cui si parla bene di loro… a qualunque costo. Eppure a volte, soffia un alito di vita: portato dalle ragazze che evocano purezza e odorano di primavera.

Attorno a questi “cani randagi” ruotano personaggi che seminano terrore e sofferenza, sono loro che tengono il controllo dell’istituto: il Piccolo Padre e la compagna Olivera Srezoska.

Il giovane Keiten capisce da subito che le armi che hanno a disposizione contro i segregatori sono impari, ma non nel senso che intendiamo noi. I ragazzini dalla loro parte hanno l’amore, l’arte, e la dissacrante ironia, mischiate alla voglia di rivalsa e al bisogno di libertà a qualunque costo. Loro dentro hanno la Grande Madre Acqua che è un’entità, un’ideale, un principio, una forza e contro quella la crudeltà non vincerà mai.

Grande Madre Acqua è…

[amazon_link asins=’8899032394′ template=’ProductAdDESTRA’ store=’lalettricecon-21′ marketplace=’IT’ link_id=’8fce4b8d-bd8d-11e8-8ebc-e1ffd1b04794′]Speranza. Čingo ci costringe a guardare la crudeltà umana. Fare del male ai bambini è l’errore più grande che un essere umano possa commettere. La prima domanda che ci si pone è: Quanto può essere crudele un uomo? La risposta ce la mostra, in maniera molto chiara, l’autore in questo romanzo. La seconda riflessione riguarda la sfera dell’infanzia rubata. I due protagonisti non ne hanno avuta una perché la guerra li ha privati di tutto. L’orfanotrofio li catapulta in un mondo che conosce solo la violenza, un vero e proprio inferno in cui non c’è spazio per il dissenso e nemmeno per l’incontro con l’altro.

Non ho memoria di nessun altro luogo dove l’infanzia muoia così in fretta, dove la si sotterri tanto spietatamente. L’infanzia, il più bel fiore della vita, svaniva come un dente di leone appassito. Nessuno sapeva dove fossero sepolti i giorni dell’infanzia. Nei due, tre secoli trascorsi all’orfanotrofio ebbi la percezione di quanto stessimo invecchiando, mille anni o forse più.

Privati di qualsiasi contatto con il mondo esterno i ragazzini dovrebbero essere ancora più plasmabili e dove non basta l’isolamento… arriva la violenza. Ma qualcuno ha fatto i conti senza l’oste. Non erano prevedibili i comportamenti dei protagonisti, combattivi, audaci, resistenti all’ingiustizia, consci del fatto che c’è sempre un pezzo da pagare ma disposti a sacrificarsi per qualcosa di più grande.

Non mi sono soffermata sui dettagli della storia, sugli episodi perché ho preferito parlarvi del messaggio che, secondo me,  è contenuto in queste pagine. Consigliato per chi ha voglia di leggere una storia impegnativa, dura, cruda… ma piena di speranza.

four-stars

Alcune note su Živko Čingo

Živko Čingo

Živko Čingo è stato un noto scrittore macedone e direttore del Teatro Nazionale Macedone (Velgošti, presso Ocrida, 1936 – Ocrida, 1987). Ambienta di solito le originali prose nel suo paese natio (Paskvelia, 1963; Nuova Paskvelia, 1965), per metà reale, per metà immaginario, in cui si confrontano il passato con il presente, la realtà con il sogno, le superstizioni con il nuovo modo di vivere. Ha scritto varie sceneggiature per il cinema e drammi per la radio, ma ha raggiunto il successo (anche all’estero) con il primo romanzo La piena (1971), sulla vita, i sentimenti e le aspirazioni di un ragazzo in un orfanotrofio nel primo dopoguerra. Altre opere: Il salto di canguro (1979), Ricerca del futuro (1982).

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